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Casellario giudiziale: 2 strumenti legali per non menzionare le condanne penali

Come si è visto nel precedente contributo, al momento della richiesta del permesso di lavoro in Svizzera è necessario produrre il certificato del casellario giudiziale. Lo straniero aspirante lavoratore, pertanto, dovrà confrontarsi con il problema di aver avuto condanne penali in Italia, specie quando si tratta di fatti risalenti nel tempo e non si desidera che il datore di lavoro o terzi ne vengano a conoscenza.

Una doverosa premessa: all’atto della domanda, è necessario indicare (nell’apposita voce) se si è stati destinatari in Italia o in altro Paese di una condanna penale oppure di essere parte di un procedimento penale. Si tratta di una dichiarazione doverosa, che può avere conseguenze in caso non si dichiari il vero.

In questa sede si esaminano esclusivamente gli strumenti che il diritto italiano riconosce ai suoi cittadini per “ripulire” la cosiddetta fedina penale, eliminando dal casellario giudiziale la menzione della condanna precedentemente subita.

Anzitutto, è possibile consultare il proprio casellario giudiziale, chiedendo alla Procura della Repubblica l’emissione di un certificato in cui sono iscritte tutte le condanne definitive attraverso la presentazione di un’istanza. Ebbene, il codice penale distingue due differenti istituti per mezzo dei quali – al ricorrere di determinati requisiti – è possibile cancellare una condanna dalla fedina penale: quando la sentenza di condanna sia l’esito di un processo ordinario oppure quando sia l’esito di un procedimento speciale conclusosi con una sentenza di patteggiamento o con decreto penale di condanna. Rispettivamente, quindi, è possibile fare ricorso:

  • alla riabilitazione prevista dagli articoli 178 e ss. del codice penale;
  • all’incidente di esecuzione al fine di fare dichiarare estinto il reato per cui il soggetto ha subito una condanna ai sensi degli articoli 444 e ss. e 460 del codice di procedura penale.

 

1. La riabilitazione: cos’è e come funziona

La riabilitazione è un istituto di diritto sostanziale annoverato tra le cause estintive della pena, strumento premiale in vista della risocializzazione del reo. Con questo istituto non viene eliminata la condanna dal casellario, ma viene iscritto il provvedimento di riabilitazione con la relativa estinzione della pena: con la conseguenza che il soggetto privato che richiederà il certificato del casellario giudiziale dopo la riabilitazione non troverà più iscritta la condanna nel casellario.

Si noti, però, che se il certificato del casellario giudiziale fosse richiesto dalla Pubblica Amministrazione o dall’Autorità Giudiziaria, la condanna risulterebbe visibile con l’annotazione del provvedimento di riabilitazione e la relativa estinzione della pena. Lo stesso vale per le pubbliche autorità elvetiche (cantonali o federali) in sede di verifica dei presupposti della domanda di permesso.

L’istanza di riabilitazione dev’essere presentata al Tribunale di Sorveglianza del luogo in cui l’interessato abbia la residenza o il domicilio. Accolta la domanda di riabilitazione, laddove non sussistano condizioni ostative, il giudice dichiara con ordinanza l’estinzione della pena.

La riabilitazione è regolamentata dagli articoli 178 e seguenti del codice penale. In particolare, all’articolo 179 del codice penale sono stabiliti i requisiti di concessione della riabilitazione, temporali e condizionali. La riabilitazione, infatti, è concessa soltanto se siano decorsi:

  • tre anni dal momento in cui la pena principale è stata eseguita;
  • almeno otto anni nel caso di condannato recidivo;
  • dieci anni dal giorno in cui sia stato revocato l’ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, se il condannato era delinquente abituale, professionale o per tendenza.

I requisiti condizionali comportano, invece, che il condannato debba aver già scontato la pena principale per intero oppure che la pena debba essersi estinta. Inoltre, dev’essere dimostrata la sua buona condotta.

La riabilitazione non può, invece, essere concessa quando il condannato:

  1. sia stato sottoposto a misura di sicurezza, ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;
  2. non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.

Con la riabilitazione il condannato gode del beneficio dell’estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale scaturente dalla sentenza di condanna, salvo che la legge disponga diversamente.

2. Incidente di esecuzione per le sentenze di patteggiamento e i decreti penali di condanna

Nel caso in cui la pena sia stata inflitta con una sentenza di patteggiamento o con un decreto penale di condanna, pur potendo attivare il mezzo della riabilitazione, si ricorre preferibilmente all’istituto più snello dell’incidente di esecuzione per mezzo del quale è possibile avanzare la domanda di estinzione del reato.

L’articolo 445, co. 2 c.p.p. stabilisce che con il patteggiamentoil reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena”.

Con il decreto penale di condanna invece, ai sensi dell’articolo 460, co. 5 c.p.p. non c’è condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l’applicazione di pene accessorie. La norma stabilisce che il decreto “anche se divenuto esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo” e che “il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena”.

La domanda di incidente di esecuzione dev’essere presentata allo stesso giudice che ha emesso la sentenza di patteggiamento o il decreto penale di condanna. Tale giudice sarà, pertanto, giudice dell’esecuzione. All’istanza devono essere allegati:

  • la copia della sentenza di patteggiamento o del decreto penale;
  • e, nel caso di condanna a pena pecuniaria, l’attestazione dell’avvenuto pagamento.

La domanda di estinzione del reato può essere presentata solo a condizione che nel termine di cinque o di due anni il richiedente non abbia subito una nuova condanna, rispettivamente, per delitti o contravvenzioni della stessa natura.

Come con la riabilitazione anche con l’estinzione del reato punito con sentenza di patteggiamento o con decreto penale di condanna, il condannato beneficia dell’estinzione delle pene accessorie e degli effetti penali.

3. Cosa fare in caso di precedenti condanne penali

Nel ribadire che è necessario dichiarare, in sede di domanda di permesso, le condanne subìte all’estero, si rimanda al contributo già pubblicato circa le 5 cose da sapere per affrontare il problema delle condanne penali subìte in relazione con il permesso di lavoro in Svizzera.

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L’avvocato Marina Di Dio collabora con lo Studio Legale Ciamei ed è disponibile a fornire consulenza e assitenza in questa materia.

Avv. Marina Di Dio
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6982 Agno
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Cinque riflessioni sugli avvocati … scritte da un avvocato *

Ma spiegami un po’, come concili la tua coscienza con la possibilità di difendere un colpevole o, comunque, di assumere una posizione che sai non corretta?

Quale avvocato non si è sentito rivolgere questo tipo di domanda! In realtà, è una domanda che credo (e spero) si siano posti un po’ tutti gli avvocati almeno una volta nella loro carriera, specie quelli che professano un credo cristiano.

Bene, senza pretesa di verità o di risolvere una volta per tutte l’eterno dilemma, proviamo a ragionare insieme. Lo facciamo partendo da un passo di quello che è un libro guida per ogni avvocato e che proprio ogni avvocato dovrebbe avere nella libreria, “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, di Piero Calamandrei:

Per giudicare l’utilità processuale degli avvocati, non bisogna guardare il difensore isolato, la cui attività unilaterale e partigiana, presa in sé, può sembrar fatta apposta per trarre i giudici fuori di strada; ma bisogna considerare il funzionamento nel processo dei due difensori contrapposti, ciascuno dei quali, colla propria parzialità, giustifica e rende necessaria la parzialità del contraddittore.
Imparziale deve essere il giudice, che è uno al di sopra dei contendenti; ma gli avvocati son fatti per esser parziali, non solo perché la verità è più facilmente raggiunta se è scalata da due parti, ma perché la parzialità dell’uno è la spinta che genera la controspinta dell’avversario, l’impulso che eccita la reazione del contraddittore e che, attraverso una serie di oscillazioni quasi pendolari da un estremo all’altro, permette al giudice di cogliere nel punto di equilibrio, il giusto.
Gli avvocati forniscono al giudice le sostanze elementari dalla cui combinazione si genera a un certo momento, nel giusto mezzo, la decisione imparziale, sintesi chimica di due contrapposte parzialità. Essi debbono esser sempre considerati come «coppia», anche nel senso che questa espressione ha in meccanica: sistema di due forze equivalenti, le quali, operando su linee parallele in direzione opposta, generano il moto, che dà vita al processo, e trova quiete nella giustizia”.

(PIERO CALAMANDREI, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ed. Ponte alle grazie, 1999 terza ristampa, pp. 121-122)

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I permessi in Svizzera e le precedenti condanne penali in Italia: 5 cose da sapere

Sono sempre più frequenti le richieste di assistenza legale da parte di cittadini italiani che hanno ricevuto un provvedimento di diniego alla richiesta di concessione di un permesso di lavoro in Svizzera, segnatamente una decisione di revoca del permesso concesso in precedenza, in presenza di precedenti condanne penali in Italia.

È corretto tale modo di procedere? Su quali basi normative si fonda? Ogni e qualsiasi tipo di condanna precluse la possibilità di vivere o lavorare in Svizzera? Quali sono i limiti imposti all’Ufficio della migrazione? Cosa si può fare di fronte ad una decisione ingiusta?

Il presente contributo intende offrire alcune risposte chiare a fronte della confusione che spesso regna in una prassi spesso non conforme alla normativa svizzera ed europea: si deve quindi tenere ben presente che in questo ambito, più che in altri, ogni singolo caso personale richiede un’analisi specifica, anche perché le novità sono all’ordine del giorno.

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